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Immagine del redattoreWilma Viganò

Due piazze - 1

Ebbene, ammettiamolo! Quando andiamo in centro a Milano, l’imponenza e la suggestione del Duomo (e relativa piazza considerata dai milanesi “caput mundi”) catalizzano inevitabilmente la nostra attenzione facendoci trascurare la bellezza e l’interesse di tante altre destinazioni che stanno a due passi dalla cattedrale. Oggi propongo di ovviare, almeno parzialmente, a questa mancanza, accompagnandovi nella visita ad altre due piazze cariche di storia, di arte e di vicende milanesi che poco hanno da invidiare alla piazza per antonomasia, e cioè piazza Sant’Alessandro e piazza Missori. Una accanto all’altra, sono collegate da un vicoletto - via Zebedia - che percorrendolo par d’essere tornati indietro nei secoli, al tempo della Milano rinascimentale.

Piazza S. Alessandro - Chiesa - Wilma Viganò

E il nostro giro inizia da quella che è, a mio avviso la più “romana” delle piazze milanesi, cioè Sant’Alessandro, con l’ampia scalinata che conduce all’omonima maestosa chiesa barocca con due campanili, chiaramente ispirata ai capolavori romani del Bernini. L’area tutt’attorno, sino a poco tempo fa rumorosissima e sepolta dai motorini parcheggiati, è finalmente quasi del tutto pedonalizzata ed è pressoché costantemente occupata da una marea di giovani, in gran parte universitari che, se appena il tempo lo permette, sostano in gruppetti nei déhors dei ristorantini, sulle panchine o sui gradini. Vi si respira insomma un’aria molto rilassata.


Architettonicamente parlando, su tutto e su tutti domina il complesso di edifici donato nel Seicento dalla ricca famiglia degli Arcimboldi ai Padri Barnabiti, che qui crearono un centro di studi che, da allora, ha accompagnato tutta la storia milanese. Le scuole arcimbolde, come vennero definite, si affermarono infatti immediatamente come istituto molto qualificato (vi si formò il Parini, tanto per citare uno dei suoi allievi più illustri) e rimasero tali anche quando, divenute laiche, si trasformarono nel liceo classico Cesare Beccaria, per poi passare, a tutt’oggi, all’Università Statale. E agli studenti di cui sopra. 

Ma l’edificio che dà l’impronta alla piazza è la chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia, che può, senz’ombra di dubbio, essere definita come il manifesto milanese della Controriforma. È la Chiesa Trionfante (con la C e la T maiuscole) che afferma la propria autorità attraverso la grandiosità delle arti. Non un centimetro quadrato è libero da decorazioni, intagli, sculture, affreschi, incastonature... A cominciare dall’esterno, dove la facciata è sottolineata, Roman style, da ben due campanili (cosa piuttosto insolita dalle nostre parti) e dalla scalinata per accedervi, a significare l’elevazione della chiesa al di sopra delle miserie del mondo terreno.

La nominazione della chiesa a Sant’Alessandro in Zebedia risale all’epoca romana quando in quest’area sorgevano le carceri, rette da tale Zebedia, carceri dove venne imprigionato nel terzo secolo il legionario Alessandro, che rifiutò di abiurare alla fede cristiana e che fu successivamente martirizzato a Bergamo di cui è divenuto santo protettore. Terminate le persecuzioni, al posto delle carceri fu innalzata una piccola chiesa celebrativa che però, con l’arrivo dei Barnabiti ai primi del ‘600, fu completamente ricostruita, assieme alla loro residenza con annesso collegio. Originariamente progettata dal padre barnabita Lorenzo Binago, che aveva pensato in grande ispirandosi nientemeno che alle soluzioni adottate dal Bramante e da Michelangelo per la basilica di San Pietro a Roma, alla sua morte l’opera venne proseguita e completata da Francesco Maria Richini, allora impegnatissimo a Milano in un gran numero di cantieri, da Brera alla Ca’ Granda, dalla chiesa di San Giuseppe a tanto altro.

Ma entriamo in Sant’Alessandro e verremo immediatamente colpiti dalla maestosità dell’ambiente e sopraffatti dall’opulenza delle decorazioni, che hanno però il preciso significato storico di rappresentare una roccaforte della restaurazione cattolica della Controriforma voluta da san Carlo Borromeo. Ecco quindi gli infiniti affreschi con la rappresentazione di virtù e vite esemplari di santi che conducono alla cupola centrale raffigurante il Paradiso. Nei pennacchi si rende omaggio a quattro insolite virtù: Agilità, Sottigliezza, Impassibilità e Chiarezza. Che avranno senz’altro precisi significati teologici, purtroppo a me sconosciuti e che non è forse il caso di approfondire in questa sede.

Tutto l’ambiente è l’apoteosi dell’arte applicata, a partire dall’altare maggiore, dono della famiglia Visconti di Modrone, che è tra i più ricchi ed elaborati di Milano: un capolavoro di intaglio costituito da marmi pregiati, bronzo e pietre preziose con al centro un rilievo dedicato al “Seppellimento di sant’Alessandro”.  Gli altari laterali non sono da meno, anche se l’opera in assoluto più incredibilmente sfarzosa è il pulpito, sfavillante di pietre dure sfaccettate - diaspri, corniole, ametiste, agate - e incastonato in un pilastro con quattro colonne ai lati. Anch’esso finanziato dal fratello dell’allora rettore dei barnabiti, il marchese Alessandro Visconti di Modrone, svolge tra l’altro il tema decorativo della melagrana, allegoria dell’eloquenza. Al pulpito è legata inoltre una intrigante curiosità. Pur aggirandolo con attenzione, non si riesce a capire come possa salirci il predicatore. Ma vabbè, il segreto ve lo svelo io. Sul retro del pulpito stesso troverete due confessionali, e l’inghippo sta proprio lì. All’interno di quello rivolto verso l’altare, sulla parete di fondo alla sinistra del confessore, nel buio che più buio non si può, c’è una porticina che si apre su una scaletta nascosta per salire al pulpito.

Tra gli elementi portanti che definiscono il carattere della chiesa di Sant’Alessandro annovererei senz’altro l’oscurità, che permea tutto l’ambiente, e la profusione di confessionali: ben 13! In legni minuziosamente intagliati, e in un paio di casi sfarzosamente arricchiti con pietre dure, interpretano il tema penitenziale di cui i Barnabiti sono stati per secoli portavoce. Da non perdere la sacrestia, altrettanto ricca ed elaborata, con antichi armadi, e volte e pareti affrescate.

Ma usciti dalla chiesa e tornati all’aperto, ammiriamo sul fronte opposto della piazza le belle facciate settecentesche di una serie di palazzi nobiliari, tra i quali il più insigne è quello dei Trivulzio, una delle più antiche e nobili casate lombarde, i cui membri, protagonisti della storia milanese, inclusero uomini politici, condottieri ed ecclesiastici. Innumerevoli sono gli edifici riconducibili alle proprietà della famiglia Trivulzio, ma questa di piazza Sant’Alessandro è stata da sempre considerata la loro vera residenza milanese, che ospitava, tra l’altro, l’immensa biblioteca e collezione trivulziana oggi visibile nelle sale del Castello Sforzesco. Qui nacque Cristina Trivulzio, poi principessa Barbiano di Belgiojoso d’Este, celebre per il suo attivismo politico risorgimentale e recentemente assurta alle cronache d’attualità per la statua a lei dedicata in piazzetta Belgiojoso. Una piccola curiosità su di lei: la principessina era stata insignita fin dal battesimo di ben dodici nomi: Maria Cristina Beatrice Teresa Barbara Leopolda Clotilde Melchiora Camilla Giulia Margherita e Laura. Una sequenza incredibile di riferimenti storici e familiari che con ogni probabilità contribuì ad ispirare e motivare la sua “vita spericolata” di patriota, giornalista, viaggiatrice, scrittrice, ma soprattutto di donna indipendente.

E con questa figura ispiratrice concludiamo la passeggiata di piazza Sant’Alessandro ed avviamoci, percorrendo via Zebedia, alla seconda destinazione di questo percorso, piazza Missori, il cui racconto rimando alla prossima puntata di “A spasso con Wilma”.

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