Come promesso (o minacciato, vedete un po’ voi) nella scorsa puntata di “A spasso con Wilma”, eccomi qui con altri racconti e curiosità sui campanili di Milano. Dopo il campanile che non c’è del Duomo, il copia e incolla della Ciribiciaccola di Chiaravalle con San Gottardo in Corte, il crollo delle torri di Santo Stefano al Verziere e di San Babila, e la caccia ai campanili nascosti di San Carlo in corso Vittorio Emanuelle, di San Francesco di Paola in via Manzoni e dell’Incoronata in corso Garibaldi, vi vorrei parlare, tanto per cominciare, di una strage. Una strage, che ci crediate o no, di campanili.
E stava per rimetterci le penne anche una cupola.
I fattacci ebbero luogo verso la metà del Cinquecento e autore dei misfatti fu l’allora governatore di Milano, Ferrante Gonzaga, zelante amministratore della città per conto di Carlo V di Spagna. Il Gonzaga (tra l’altro padre immeritato del futuro santo Luigi Gonzaga) si imbarcò in una scrupolosa fortificazione del Castello Sforzesco. E fin qui niente di male, dopotutto il Castello era nato come struttura militare difensiva, con tanto di mura e fossato e soprattutto con la mitica torre del Filarete (reinventata poi nell’Ottocento da Luca Beltrami) per avvistare da lontano, nella pianura che circondava Milano, l’arrivo di eventuali invasori. Un dominio quindi militare e architettonico che non tollerava esistessero in città altre postazioni dominanti, leggi campanili.
Fu così che vennero decapitati i magnifici campanili con cuspide di San Simpliciano in corso Garibaldi, di Santa Maria del Carmine a Brera, di San Marco in via Solferino e dell’ormai scomparsa chiesa di San Francesco Grande (successivamente rimpiazzata dalla Caserma Garibaldi) di fianco a Sant’Ambrogio. Una vera e propria strage. Solo San Marco si rifece qualche secolo dopo, nel 1885, quando commissionò una nuova cuspide a Giuseppe Mongeri, un critico e scrittore di storia dell’arte, che mise il naso in un buon numero di iniziative architettoniche della Milano dell’epoca, dalla vecchia Stazione Centrale, alla sistemazione di piazza Duomo e della Galleria.
Ma il pericolo più grosso della strage dei campanili lo corse la straordinaria cupola del Bramante di Santa Maria delle Grazie che venne salvata da un tempestivo e opportuno miracolo. Narra infatti la storia – o la leggenda, vedete voi – che nel buio di una notte apparve un angelo circondato da uno stormo di colombe. A vederlo pare che fossero solo i frati domenicani delle Grazie, ma i fedeli credettero loro sulla parola.
Non altrettanto persuaso fu il Gonzaga che, per vederci chiaro, appostò un buon numero di soldati attorno alla cupola per avvistare e testimoniare l’eventuale arrivo dei cherubini. Ma, come si dice, “col favor delle tenebre” le sentinelle si buscarono delle solenni bastonate, e poiché la folla asseriva trattarsi di bastonatura divina, il governatore dovette rimangiarsi l’ordine di demolizione per non esasperare il popolo che cominciava a sollevarsi. Insomma, una delle più riuscite dimostrazioni di piazza della storia dell’arte milanese.
Per tornare ai campanili, alcune chiese ne hanno due, solitamente incorporati nella facciata, come quel gioiello barocco che è Sant’Alessandro (nell’omonima piazza dal sapore molto romano), così come la chiesa di San Sepolcro che, con i suoi due campanili turriti, segna l’umbilicus di Milano (come ebbe a definirlo San Carlo Borromeo), cioè il luogo dove ai tempi di Augusto si incrociavano cardo e decumano. Oppure, sempre con due campanili, la recente novecentesca ricostruzione di Santa Maria Segreta di piazza Tommaseo (famosa in primavera per la fioritura delle magnolie), ricostruzione che riproduce paro paro la precedente versione seicentesca della chiesa allora collocata in piazza Santa Maria Segreta. Ma questa dello spostamento delle chiese è un’altra storia che non ha niente a che fare con i campanili, e che magari vi racconterò in un’altra occasione.
Ma il casus belli dei doppi campanili milanesi è la storia molto divertente, e molto terrena, delle due torri (una diversa dall’altra) della nostra basilica per eccellenza: quella di Sant’Ambrogio. Per secoli, e per necessità organizzative, qui hanno dovuto convivere canonici e monaci benedettini. Una convivenza tuttaltro che pacifica. Come racconta il Lopez in “Milano in mano”: “i frati si azzuffavano con i canonici a colpi di cazzuola, di campane e di documenti veri o falsi per orgoglio di consorteria. E poiché i monaci avevano da tempo costruito il campanile sulla destra (che risale all’VIII secolo), i canonici nel 1100 passarono al contrattacco sulla sinistra con una seconda torre (che tra l’altro pende di ben 25 cm) completata solo nel 1889. Con gli arcivescovi che, nel mentre, devono intervenire più volte come arbitri a regolare il numero dei bronzi, dei batacchi e degli scampanii.” Oggi, per fortuna, “pacem in terris”. Almeno in Sant’Ambrogio.
Ma il record del numero di torri appartiene alla più antica basilica milanese, San Lorenzo. Sono ben quattro e la fanno apparire come una fortezza, un caposaldo della cristianità al tempo in cui a Milano – allora capitale dell’impero – si decidevano i destini del mondo. In ogni caso, a puntualizzare il fatto che la sostenibilità non è solo di questi tempi, va ricordato che tutta la basilica, con relative torri, venne eretta alla fine del IV secolo utilizzando blocchi di pietra provenienti dal vicino anfiteatro romano.
A compensare la media delle quattro torri di San Lorenzo, segnalo la totale assenza di un campanile che avrebbe dovuto esserci, tra l’altro facente parte fondamentale del disegno concettuale della chiesa, ma che invece non si fece mai lasciando l’edificio un po’ squilibrato. Mi riferisco alla chiesa di Sant’Angela Merici, in via Cagliero alla Maggiolina, molto ricca di opere d’arte moderna grazie alla sponsorizzazione, negli anni ’50 del Novecento, di Enrico Mattei a ricordo della madre Angela. Il progetto dell’edificio venne affidato a Mario Baciocchi, designer di fiducia dell’ENI, progetto che prevedeva anche un campanile dalla cui sommità avrebbe dovuto convergere una retta, proseguimento ideale del lato destro della facciata, a significare la convergenza nella chiesa di umano e divino. Ma il campanile non c’è (immagino per sopravvenuta mancanza di fondi) con il risultato di un insolito ed inspiegabile spiovente sbilenco del tetto a capanna.
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