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Il trono del Pavone

  • Immagine del redattore: Wilma Viganò
    Wilma Viganò
  • 12 minuti fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Potere, amore e gioielli sono ingredienti succulenti per il gossip di ogni tempo. E, a partire dagli anni ’50 del Novecento, quando ancora l’Iran si chiamava Persia, queste tre componenti alimentarono abbondantemente una storia che i rotocalchi di tutto il mondo ripresero per oltre un ventennio. La storia era quella di Mohammad Reza Pahlavi, ultimo Shah di Persia, che divenne imperatore nell’agosto del 1941 e regnò sino al 1979, quando la rivoluzione capeggiata dallo ayatollah Khomeini mise fine alla millenaria tradizione monarchica del Paese.

Il potere, prima degli ayatollah, era quello rappresentato dal “Trono del Pavone”, sul quale venivano incoronati gli Shah, ovvero gli imperatori persiani.

Il trono vero e proprio è di per se stesso un tesoro, decorato com’è con 26.733 pietre preziose su una base d’oro. Anche se non è, a dire il vero, quello originale che era di origine indiana e venne trafugato come bottino di guerra nel 1739 per poi sparire, come spesso capita, nel nulla. Probabilmente smontato e venduto a pezzi sui mercati internazionali.

Nel 1941, a simboleggiare l’ascesa al potere del nuovo imperatore, oltre ad un nuovo trono venne inoltre commissionata un’ennesima corona imperiale, realizzata da un grande orafo persiano riutilizzando, come da tradizione, pietre “sciolte” disponibili in cassaforte. In oro, argento e velluto rosso, la corona imperiale dei Pahlavi pesa oltre due chili ed è illuminata da 3.380 diamanti, il più importante dei quali (un brillante paglierino di 60 carati) splende al centro del decoro, disegnato da 360 perle naturali perfettamente identiche per colore e misura. E questa sì che è una vera rarità.


Ma gli avvenimenti che occuparono i giornali scandalistici del dopoguerra furono le vicende amorose dello Shah. Sposato in prime nozze con Fawzia, affascinante figlia del sultano d’Egitto, la coppia si distinse immediatamente per lo sfarzo dei gioielli esibiti nel corso delle cerimonie ufficiali. Fawzia indossava preferibilmente, e a ragione, perle. Si dice infatti che la collezione di perle della Corona persiana sia tuttora la più bella e preziosa esistente al mondo. Ma nonostante la nascita di una figlia, il matrimonio con Reza non fu un successo e la coppia divorziò nel 1945.




L’anno successivo lo Shah incontrò non certo per caso – pare gli venissero sottoposti interi album con foto di possibili candidate – la giovanissima figlia dell’ambasciatore iraniano in Germania, Soraya, che venne convinta a sposarlo. Anche lei bellissima (assomigliava ad Ava Gardner), si immolò alla ragion di Stato con una cerimonia matrimoniale da Mille e una Notte, ma anche da incubo. Convalescente da una febbre tifoidea, la povera Soraya svenne tre volte sotto la zavorra di un abito di Dior: un delirio di trine, tulle e 6.000 diamanti, che pesava oltre 20 chili. Una situazione ambientale per altro aggravata dalla tonnellata e mezzo di fiori, arrivati dall’Olanda con un aereo speciale, che adornavano la reggia ma rendevano l’aria irrespirabile!

In ogni caso il matrimonio combinato si rivelò un matrimonio d’amore, e i due vissero una vita spensierata e mondana in giro per il mondo, spesso e volentieri anche nell’Italia della Dolce Vita. Ma il sospirato erede maschio non arrivava e lo Shah si vide costretto a ripudiare l’amata consorte che da allora, nonostante i gioielli avuti in regalo e la vita turbolenta e spensierata da single di ritorno, venne soprannominata dai soliti rotocalchi “la principessa dagli occhi tristi”.


Il terzo matrimonio dello Shah fu quello giusto, almeno per la ragion di Stato. La prescelta questa volta fu Farah Diba, un’altra bellissima ragazza appartenente all’alta borghesia di Teheran conosciuta a Parigi. Dal matrimonio nacquero quattro figli e Farah Diba, in ossequio alla crescente emancipazione delle donne iraniane di allora, fu la prima donna del suo Paese ad essere consacrata “shabanou”, cioè imperatrice. La sfarzosa cerimonia d’investitura venne trasmessa in mondovisione nel 1967 e per l’occasione si rese naturalmente necessaria la realizzazione di una nuova corona, commissionata questa volta al gioielliere parigino Van Cleef  & Arpels. In omaggio alla tradizione di riutilizzo di gemme già presenti nel tesoro imperiale che però proibiva l’espatrio del tesoro stesso, una squadra di gioiellieri francesi venne inviata a Teheran per costruire la corona in loco. Cosa che avvenne nel corso di sei mesi di intenso lavoro.

Alla fine degli anni ’70 la rivoluzione islamica degli ayatollah costrinse all’esilio la famiglia imperiale che girovagò per il mondo (Egitto, Marocco, America Centrale ed ancora Egitto) dove lo Shah morì nel 1980. Oggi Farah Diba divide il suo tempo tra gli Stati Uniti, Parigi e il Cairo, oppressa da disgrazie di tutti i generi, compreso il suicidio di una figlia. Anche i ricchi piangono.


Restano i gioielli della Corona Persiana che, dato il loro straordinario valore, non furono per anni visibili al pubblico se non nel corso delle cerimonie ufficiali. Decine di corone e troni decorativi, oltre trenta tiare, dozzine di spade e scudi ingioiellati, un gran numero di diamanti, perle e pietre preziose a testimoniare la grandezza dell’impero persiano durato oltre 2.500 anni erano nascosti nei caveaux della Tesoreria imperiale, sino a quando lo shah Mohammad Reza di cui sopra diede disposizione che le creazioni più spettacolari potessero essere ammirate nella sede della Banca Centrale dell’Iran.

La rivoluzione islamica del 1979 fece temere che i gioielli della Corona potessero andare dispersi (e in effetti alcuni oggetti minori pare siano stati esportati illegalmente e venduti all’estero), ma la maggior parte della collezione rimase intatta. Dopo una decina d’anni, nel 1990, l’esposizione permanente dei gioielli venne riaperta e, salvo smentite, risulta tuttora visitabile per rivivere in tutto il suo splendore, anche se nel caveau di una banca, il fascino immortale di Sherazade!

 
 
 

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