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Immagine del redattoreWilma Viganò

L'altro Gattopardo

Signori, e soprattutto signore, ho il piacere e l’onore di raccontarvi vita, genio e gioielli di Fulco Santostefano della Cerda, Duca di Verdura e Marchese Murata la Cerda

E concorderete che, con un nome così, una presentazione formale è il minimo dovuto.

Tutto, nella vita di questo fortunato rampollo dell’antichissima aristocrazia siciliana (la sua famiglia discendeva addirittura da Alfonso X il Savio, re di Castiglia, e da San Luigi, re di Francia) tutto, dicevo, è stato all’ennesima potenza: dai viaggi alle frequentazioni, dalle scelte trasgressive sino alla trasfigurazione in gioielli della sua multiforme creatività. Una creatività che lo porterà ad essere acclamato nel mondo come uno dei più straordinari interpreti dell’arte orafa del Novecento. Fulco di Verdura visse a Venezia, Parigi, Londra, Los Angeles e New York, ma il suo genius loci attinse sempre a piene mani alle suggestioni dell’arte e della natura italiane, soprattutto siciliane.

Nato e cresciuto a Palermo nella favolosa Villa Niscemi a Piana dei Colli, confinante con la Real Tenuta della Favorita dove cacciavano i Borbone, Fulco era coetaneo e cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l’autore del Gattopardo, col quale peraltro non sembrava avere grandi affinità. Tanto uno era estroverso e mondano, tanto l’altro era taciturno e solitario. Entrambi però si ritrovarono a vivere nella Palermo degli anni ’20 del Novecento, città ricca, nobile e cosmopolita, che celebrava gli ultimi bagliori mondani di una società destinata ad un ineluttabile declino. Alla morte del padre Fulco eredita il titolo, ma dimostra grande distacco per le (poche peraltro) cose materiali rimaste in famiglia. Ma entra a far parte – grazie al titolo e alla sua esuberante personalità – dell’allora jet set internazionale che lo porta, nel 1925, a partecipare ad un ballo organizzato da Cole e Linda Porter a Venezia. Qui conosce Coco Chanel e l’anno seguente si sente in dovere di ricambiare l’invito ai nuovi amici organizzando a Palermo, a Palazzo Verdura, un ballo in maschera dedicato a Lord Nelson e alla sua amante, Lady Hamilton. Una festa che Vogue ricorderà come “memorabile” alla quale parteciparono artisti, principi e aristocratici di tutta Europa, ma che risucchiò quel poco che restava delle risorse finanziarie della famiglia.

Fulco si vide quindi costretto ad emigrare (fors’anche per sfuggire ai creditori) ma lo fece ovviamente con grande stile, raccogliendo l’invito della sua nuova amica Coco Chanel che, da grande imprenditrice e donna qual era, a colpo d’occhio ne aveva intuito le potenzialità creative. Inizialmente gli venne affidato l’incarico di designer tessile, ma la fantasia che esprimeva sulle stoffe meritava una ben altra, preziosa valorizzazione. Fu così che la donna che ha cambiato la moda, spinse Fulco a cercare nuovi orizzonti nel campo della gioielleria.

E Fulco non la deluse. In contrasto con lo stile rigido, lineare e senza colori dei gioielli déco che andavano per la maggiore in quel periodo, diede sfogo alla propria opulente fantasia ispirandosi ai capolavori dell'arte barocca, alle tele del Tiepolo, ai mosaici della Cappella Palatina, alla chiesa di San Vitale a Ravenna. Così come all’universo marino e ai fantasmagorici colori della sua infanzia siciliana. Con ambra e smeraldi, pietre dure e rubini, acquemarine e diamanti creò capolavori di inestimabile valore quali "il turbante Verdura", composto da una conchiglia naturale tempestata da peridoti e turchesi, i bracciali che riproducono la Croce di Malta (i preferiti dalla stessa Coco che li indossò sino alla consunzione), i cuori di pietre cabochon di tutti i colori avvolti da leggeri nastri di diamanti.

Ma “all’amor non si comanda” e Verdura dopo qualche anno lascia Parigi per New York come designer del gioielliere Paul Flato, e qui, come a Parigi, conquista immediatamente i favori di tutte le ricche signore di Manhattan. Ma non c’è pace per il nostro eroe. Nel 1938 Flato lo manda a Los Angeles per aprire il suo negozio sul Sunset Boulevard ed è l’ennesimo, immediato successo. “Davanti alla macchina da presa le dive di Hollywood indossano Cartier e Tiffany, ma dietro le quinte scelgono Fulco di Verdura” scrivono sul New York Times. Greta Garbo si fa confezionare cornucopie preziose, colme di perle e di ametiste, mentre Katharine Hepburn, Lana Turner, Lauren Bacall e Gene Tierney semplicemente si affidano alla sua fantasia.  Registi del calibro di Hitchcock e Cukor gli chiedono di disegnare monili per i loro personaggi: Joan Fontaine indossava una spilla con topazi rosa disegnato da Verdura nel suo ruolo in Sospetto, così come tutti i gioielli indossati da Katharine Hepburn in Vacanza portano la sua firma. Verdura amava mescolare le pietre preziose a quelle semi preziose, oro e platino, natura e storia, finzione e realtà. Celebri i suoi torchon in perle, e le creazioni giocate sul tema delle conchiglie che aveva acquistato in gran numero dal Museo di Storia Naturale di New York.

Nel 1939 apre il suo primo e unico negozio: sceglie la Quinta Strada a New York e registra il marchio Fulco di Verdura. Da subito annovera fra i suoi clienti l’élite mondiale: i Windsor e gli Agnelli, i Ruspoli e i Crespi, gli Astor, i Wanderbildt e i Rotschild. Il suo stile conquista anche Salvator Dalì, che con lui firma cinque gioielli “surrealisti” venduti poi al MoMA.

Ma sembra non aver pace. Trasferitosi a Londraper i suoi teatri” - così come si era trasferito a New York perché detestava le palme della California - mantiene sempre uno stretto contatto col mondo del cinema e collabora con Luchino Visconti per le scenografie del Gattopardo.

La sua ultima opera è un libro di memorie dal titolo "Estati felici" dedicato alla giovinezza in Sicilia. Muore a Londra nel 1978 e le sue ceneri vengono trasportate a Palermo nel cimitero di Sant’Orsola, nella Cappella dei Duchi di Verdura come da sue volontà testamentarie.

Oggi la produzione dei gioielli col marchio Fulco di Verdura — curata dalla designer Maria Kelleher Williams, fedele interprete dello suo roboante stile — continua sotto la direzione di Ward Landrigan, che rilevò l’azienda nel 1984. E a New York, al dodicesimo piano del 745 di Fifth Avenue, c’è ancora la boutique che porta il suo nome. Al suo interno sono raccolti oltre diecimila bozzetti di fantasmagorici gioielli, accanto al paio di bracciali a polsino “usurati” da Mademoiselle Coco.  Gli stessi che sono oggi acquistabili in versione contemporanea per far sognare le donne di tutto il mondo

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