LA VITA PER UN MONUMENTO
Oggi vi vorrei raccontare la storia di due piazze di Milano, vicine tra loro, e dei rispettivi monumenti. C’è infatti una storia, anzi un personaggio, che collega Piazza 5 Giornate, dove si trova l’attuale Porta Vittoria, e Piazza Grandi, poco più avanti lungo corso XXII Marzo.
Ma andiamo con ordine. Tutto cominciò – come tante altre cose in Italia – da Giuseppe Garibaldi che da Caprera, in uno scoppio, uno “sciupun” diremmo a Milano, di passione patriotica, sentimento di cui non faceva difetto, indirizzò una lettera, datata 23 gennaio 1873, alla Municipalità milanese nella quale si leggeva quanto segue: “Se vi è un fatto nella storia dei popoli che meriti di essere ricordato da un monumento imperituro, è certo quello delle Cinque Giornate; e voi non dovete desistere dalla nobile iniziativa”. Capite bene che, con cotanto auspicio da parte dell’Eroe dei Due Mondi, la Giunta si sentì in dovere di lanciare immediatamente un bando pubblico per la costruzione di un monumento alla Cinque Giornate da collocarsi a Porta Tosa, ormai ribattezzata Porta Vittoria.
Furono presentati ben 82 progetti e non poche perplessità suscitò la scelta che cadde su tale Giuseppe Grandi, uno sconosciuto scultore nato nel Varesotto e appartenente al movimento degli “scapigliati”, gli artisti dell’epoca noti per la loro ribellione al conformismo, testimoniata anche esteriormente da capelli lunghi, barbe incolte e abiti trasandati. Insomma, niente di nuovo. Grandi, come la maggior parte dei suoi amici, campava come poteva, e quando vinse il concorso ritenne, abbastanza giustamente bisogna dire, che fosse giunta l’occasione della vita e vi si dedicò anima e corpo. Si installò in un nuovo studio e inizio la realizzazione della sua opera grandiosa: un obelisco svettante da una spirale di corpi alla sua base, cinque donne a rappresentare le giornate di lotta, un leone che si ridesta come il popolo che ritrova il suo orgoglio, un’aquila che simboleggia il raggiungimento della libertà… Tanti simboli e tanto lavoro!
Il Grandi si impegnò per quattordici anni come un disperato, isolandosi dagli amici e senza badare a spese. Arruolò le cinque modelle più famose del tempo ad incarnazione delle azioni e dei sentimenti delle Cinque Giornate – soprannominandole Chiamata a raccolta, Dolore, Incitamento alle barricate, Vittoria e Fama – mentre al di sotto del piano stradale veniva realizzata una cripta per la deposizione delle spoglie dei caduti.
Sempre come modelli, fece arrivare dall’Ungheria un’aquila reale e da Anversa un leone africano che si chiamava Bolco, e che si insediò nello studio del Grandi assieme al suo domatore. C’è da dire che Bolco era più che altro un grosso gattone e il Grandi si dannava come un matto scagliandogli addosso qualunque cosa per fargli assumente l’espressione truce e temibile che aveva in mente per la sua opera. Non mancarono nemmeno i ripensamenti e alcuni problemi con le fusioni delle enormi figure che provocarono ripetuti ritardi, ritardi che, in occasione delle annuali celebrazioni delle Cinque Giornate, generavano pubbliche lamentele da parte di veterani e reduci che attendevano la conclusione del monumento.
Passarono così i mesi e gli anni – ben tredici anni! – mentre la salute dell’artista, minato dalla tisi e dalla furia creativa, si logorava. Giuseppe Grandi si spense il 30 novembre 1894 e in suo onore l’opera, appena terminata, venne mostrata al pubblico nella giornata del 6 dicembre, giorno dei suoi funerali. L’inaugurazione ufficiale si svolse invece la mattina del 18 marzo 1895, in coincidenza con l’inizio delle celebrazioni delle Cinque Giornate, con la città parata a lutto per onorare, è il caso di dirlo, l’opera di una vita.
Ai nostri giorni può essere interessante sapere che la cripta viene aperta ed è visitabile ogni anno dal 18 al 22 marzo nei cinque giorni che resero gloriosa la storia di Milano.
In ogni caso la Municipalità fu per sempre grata al povero Grandi e, da lì a qualche anno, gli dedicò una piazza nei dintorni, Piazza Grandi appunto, che si raggiunge dopo aver percorso qualche centinaio di metri lungo corso XXII Marzo. Qui, sulla sinistra troviamo una fontana monumentale abbastanza insolita: rappresenta infatti un gigante nudo in bronzo inginocchiato in contemplazione di una cascata.
Nelle intenzioni dell’autore, lo sculture Sever Werther, allievo di Adolfo Wildt, a sua volta allievo del Grandi, la rappresentazione simboleggia l’artista in perenne meraviglia di fronte a tutto ciò che ci circonda.
L’opera è collocata in cima ad una collinetta e d’acchito non se ne capisce bene la ragione. In realtà, l’altura e il monumento nascondono un’importante testimonianza storica. Custodiscono infatti nel sottosuolo un rifugio che, durante l’ultima Guerra Mondiale, poteva ospitare più di 400 persone in caso di attacchi aerei. Il riparo comprendeva 24 stanze distribuite lungo una specie di labirinto con tanto di sfiatatoio (oggi nascosto dal torrione della fontana) che permetteva il ricircolo dell’aria e, in caso di incendio degli edifici circostanti, il reperimento di aria pura al di sopra dell’anidride carbonica.
L’ingresso al rifugio lo si può ancora individuare guardando attentamente per terra dietro al torrione e tutto l’ambiente si può visitare in occasioni delle speciali Giornate della Memoria organizzate dal Comune
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