Una delle tante polemiche scaturite lo scorso anno a tema serie TV ha riguardato la quarta stagione di Emily in Paris, commedia targata Netflix con protagonista Emily, americana che per lavoro – agenzia di marketing – viene spedita da Chicago a Parigi.
Salutata come la nuova Sex and the City, in realtà si discosta fin da subito dalla serie cult di inizio anni 2000 sia per la sceneggiatura sempre un po’ sopra le righe, per la scelta dei costumi alla moda e poco coerenti (almeno per me) sia per il continuo rimando a brand, che se da una parte sono inventati o storpiati, nel corso delle stagioni sono diventati reali e sempre più presenti ed evidenti.
Parto quindi da qui per parlare di product placement, embedded marketing o in italiano pubblicità indiretta.
Si tratta di una tecnica di marketing in cui marchi, aziende o prodotti vengono inseriti intenzionalmente all'interno di contenuti cinematografici o televisivi.
Ci sono varie forme:
Posizionamento fisico: è all'interno dello show/serie TV o film, è visibile e i personaggi possono interagirci.
Virtuale: i prodotti/marchi possono anche essere posizionati digitalmente offrendo la possibilità di associarli anche dopo che il contenuto è stato prodotto.
Menzionato ma non visto, posizionamento uditivo: il prodotto/marchio/azienda viene citato, ma non viene mostrato fisicamente.
Infine contestuale o senza marchio: i prodotti possono essere posizionati in modo contestuale senza un marchio evidente, oppure essere utilizzati come parte della scenografia o della trama dello show.
Ci sono leggi a riguardo, adottate anche in Italia in tempi relativamente recenti, prima del 2004 infatti era vietata qualsiasi pubblicità occulta o diretta, poi arrivò il Decreto Urbani “Modalità tecniche di attuazione del collocamento pianificato di marchi e prodotti nelle scene di un'opera cinematografica "product placement"” e successivamente si recepì la legge europea (sto sintetizzando e semplificando) che permise la pubblicità indiretta, ma con alcune condizioni.
Ad esempio, è vietata nei programmi per bambini e può essere realizzata in due modalità: gratuitamente (ad esempio sotto forma di sostegno alla produzione o premi) oppure a pagamento, ma solo in contesti specifici come film per il cinema, fiction, serie TV, programmi sportivi e di intrattenimento leggero.
Occorre inoltre garantire l’autonomia editoriale delle reti televisive: i prodotti non devono influenzare i contenuti (su questo ho qualche dubbio).
Inoltre, i programmi non possono spingere direttamente all'acquisto né dare eccessivo rilievo ai prodotti inseriti. Infine, il pubblico deve essere chiaramente avvisato della presenza del product placement: questo avviso deve comparire all’inizio, alla fine del programma e dopo ogni interruzione pubblicitaria.
Probabilmente ora ci facciamo più caso, in passato infatti, seppur vietato, abbiamo comunque avuto modo di vedere film o serie TV con all’interno prodotti o marchi che arrivavano da altre nazioni (magari di tabacco o medicinali che ora sono vietati).
Del resto questo genere di pubblicità esiste dai tempi dei fratelli Lumière, anzi qualcuno dice che anche gli impressionisti facevano pubblicità occulta ad esempio il quadro di Manet Un bar aux Folies Bergère con il marchio riconoscibile di una birra (ma forse era semplicemente attingere alla realtà)
Sì, perché non tutto quello che appare – in termini di prodotti/brand - è stato pianificato tra produzione e dall’azienda, spesso si tratta solo di dare autenticità alla storia.
Torno sempre sull’esempio che conosco meglio: Sex and the City.
Molti brand sono stati menzionati nella serie TV, anche supermercati, grandi magazzini, riviste...
Nel documentario In Vogue. The 90s si sottolinea come in quel periodo moda e Hollywood/Cinema fossero molto distanti (nonostante in passato non lo fossero).
Per non parlare delle serie TV che non erano riconosciute come qualcosa su cui investire.
La presenza di marchi in Sex and The City era attribuita principalmente alla presenza della costumista Patricia Field col suo background e il suo estro nel mixare pezzi da pochi dollari ad abbigliamento vintage di grandi marchi.
Poi per quanto riguarda la passione della protagonista per le scarpe, in particolare di Manolo Blahnik, derivano dalla passione dell’autrice del libro/rubrica Candace Bushnell da cui è ispirata la serie.
In un’intervista ha dichiarato infatti: “È il marchio di scarpe più classico e alla moda che solo le fashioniste più interne al settore conoscono (ecco forse ora un po’ tutti) e, negli anni 90, Manolo era come una parola in codice che indicava qualcosa di super-fashionable e super-stylish. Così finì in Sex and the City”.
Come riporta il Telegraph, nel 2009 su Vogue, Blahnik dichiarò: "Adoro la signorina Parker. Il personaggio che ha interpretato ha avuto un ruolo così importante nella mia carriera che non posso fare a meno di considerare entrambe delle muse!”
Almeno per la serie quindi non era stato previsto compenso o “cambio merce” delle scarpe.
Così come avvenuto per Pottery Barn in Friends, donando un tavolo l’azienda non pagò mai per il product placement, ma ne ha trasse beneficio, tanto da “omaggiare" la serie con una collezione dal nome Friends.
Poi che i produttori abbiano deciso di inserire un lungo sketch menzionando il marchio (forse come ringraziamento), questo è un altro discorso.
Sono accadute anche cose curiose: sono monotematica, ma cito ancora Sex and The City.
La protagonista utilizza un Mac portatile per scrivere la sua rubrica…e se avete modo di guardarlo - anche solo online qualche foto - noterete che con il laptop aperto la mela si vede al contrario (ora non è più così).
Facendo ricerche online sul tema della puntata sono capitata su un vecchio post del blog di un ex ingegnere di Apple Joe Moreno che ha raccontato la discussione sul posizionamento del logo e di quanto notato dai progettisti.
Vi leggo un estratto: “Se il logo Apple fosse stato posizionato in modo da essere rivolto verso l'alto quando il coperchio era aperto (quindi con la mela nel verso giusto), finiva per essere capovolto quando il coperchio era chiuso, dal punto di vista dell'utente. Gli utenti però a quel punto avrebbero cercato costantemente di aprire il portatile dal lato sbagliato.
Steve Jobs si è sempre concentrato sul fornire la migliore esperienza utente possibile e credeva che fosse più importante soddisfare l'utente che l'osservatore. Ovviamente, dopo alcuni anni, Steve ha cambiato idea. Aprire un portatile dal lato sbagliato è un problema autocorrettivo che dura solo pochi secondi.
Tuttavia, visualizzare il logo capovolto è un problema che dura indefinitamente.”
Questo cosa probabilmente non è legato alla serie (anche se lo stesso Moreno mette una foto di Carrie Bradshow), ma sicuramente ha reso evidente una scelta diversa per il posizionamento della mela.
La pubblicità indiretta è ormai un metodo consolidato sia per le piattaforme e le produzione (come ha ammesso l’ex vicepresidente delle vendite pubblicitarie di Netflix Peter Naylor “lo streaming non è redditizio come il vecchio metodo”) che da parte delle aziende che possono raggiungere un vasto pubblico con uno sforzo minimo in termini di creatività.
Ci sono anche quelle che pur non presenti nei film o nelle serie TV le omaggiano con collezioni speciali dei loro prodotti, faccio un esempio recentissimo: Bialetti/Squid Game.
Non sempre il giochetto funziona, non solo perché gli occhi degli spettatori si sono fatti più attenti e critici.
C&I Studios (che si occupa anche di product placement) elenca una serie di rischi.
Invadenza percepita, gli spettatori potrebbero trovarlo invadente, soprattutto se interrompe l'esperienza visiva o sembra forzato nella trama, oppure che offuschi il confine tra intrattenimento e pubblicità, portando potenzialmente a pratiche ingannevoli se non viene comunicato chiaramente.
Alcuni sostengono che il product placement possa compromettere l'integrità artistica dei programmi TV, poiché l'integrazione di marchi e prodotti potrebbe entrare in conflitto con la visione creativa del contenuto, infine una pubblicità indiretta eccessiva o mal integrata può distrarre gli spettatori dalla trama, impedendo loro di immergersi nello show.
Ed in effetti in Emily in Paris a volte si rasenta il ridicolo.
Poi può avvenire anche la trama di uno show comprometta un marchio.
Peloton, produttore di attrezzature da fitness, fornì una cyclette a And Just like That… (reboot o sequel come volete chiamarlo di Sex and The City) non sapendo però che un personaggio chiave sarebbe morto poco dopo l’utilizzo.
Conseguenza? Crollo in borsa e l' azienda che deve correre ai ripari chiamando il personaggio a fare uno spot con loro.
La cosa suona assurda, ma non tutti reagiamo nello stesso modo di fronte a un prodotto, che sia in una serie o in un film o usato da una persona famosa.
Ne sono un esempio gli abiti indossati da Nicole Kdman in The Perfect Couple (miniserie di Netflix) o quelli della principessa del Galles Kate Middleton, immediatamente sold out.
Parlando di pubblicità, ho notato un ritorno all’utilizzo di guerrilla marketing - ne ho parlato nella puntata 44 uscita a febbraio 2021 – e di eventi lancio o negozi a tema come quello di Stranger Things, quasi del tutto scomparsi e che sembrano invece tornati prepotentemente di moda - sono sicuramente un modo per attirare l’attenzione del pubblico.
E voi come reagite alla pubblicità indiretta?
Io resto indifferente, mi innervosisce però quella fatta davvero male, per il resto non ne sono attratta perché – nonostante sia curiosa di scoprire o avere conferma sul marchio di un abito o un accessorio – i miei gusti spesso non coincidono.
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