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Immagine del redattoreWilma Viganò

Via della Guastalla

Aggiornamento: 11 ott 2021

UN GIARDINO, UN TEMPIO E UNA BIBLIOTECA


Con la buona stagione vien voglia di verde e di sole. Vi propongo quindi una breve passeggiata per una via del centro con una prima tappa ai giardini della Guastalla. Ci si può arrivare da via Francesco Sforza, da via San Barnaba o da via della Guastalla: scegliete voi. Siamo in pieno centro e quindi l’estensione dei giardini non è tra le più significative della città (solo 12 mila metri quadrati), ma la loro storia è molto antica.

Giardini della Guastalla - Wilma Viganò

Tutto risale al all’inizio del ‘500 e ad una gran donna, Paola Lodovica Torelli, Contessa di Guastalla. Dopo aver ereditato una gran quantità di beni e terreni, cercò di metter su famiglia come si confaceva ad una nobile del tempo, ma a 29 anni era già rimasta vedova due volte e le era morto l’unico figlio. Tra l’altro riuscì a sventare un tentativo di assassinio ordito ai suoi danni dai parenti che intendevano impadronirsi dei suoi averi. Così la descrive un predicatore gesuita del tempo: “Era ella di ingegno sommamente acuto e vivace…aveva eloquenza nello scrivere, leggiadria, acutezza…era cortese, ed affidabile nel conversare, saggia, ed accorta… ne propri affari avveduta e sagace, di modo che mai fu ingannata…e sebbene per suo mantenimento spendesse alla grande, ad ogni modo non solamente non scemò, ma le facoltà paterne grandemente accrebbe, e tale in somma che nella età più acerba pareva donna già matura, e se pure donna, di senno però maschio, e virile”. Insomma, sapeva investire.

Avvicinatasi alla religione con un tutor d’eccezione, il padre Barnabita Antonio Maria Zaccaria (quello del liceo), ebbe una particolare devozione per San Paolo tanto che iniziò a firmarsi "Paula alias Ludovica". Dopo aver fatto cassa vendendo tutte le sue proprietà della contea di Guastalla ai Gonzaga, si traferì a Milano dove gestì in beneficienza tutto il suo patrimonio: finanziò infatti due ricoveri per ex prostitute, un monastero, il collegio dei Barnabiti e il collegio laico dei Maritati di San Paolo.

Ma l’opera più importante da lei inventata fu il Collegio della Guastalla, fondato nel 1557, il cui scopo era quello di ospitare “fanciulle nobili ma decadute” che, senza dote o altri mezzi, sarebbero finite in convento o su una cattiva strada. Oggi il collegio è stato trasferito a Monza, il palazzo è sede del Giudice di Pace e il giardino dell’ex collegio (riallestito nel 1939) è pubblico.

All’interno del giardino, l’elemento caratterizzante è una grande peschiera seicentesca, in stile barocco, che sostituisce l’antico laghetto. Originariamente alimentata dal Naviglio che scorreva in via Francesco Sforza, era utilizzata per l’allevamento dei pesci. Oggi è ricolma di pesci rossi, quelli delle bocce, portati qui dai milanesi, ma c’è anche qualche carpa koi di ragguardevoli dimensioni. Pare che se ne contino circa 300. Il perimetro della vasca è da sempre adornato da rose e bossi, bellissimi in periodo di piena fioritura.

Seguendo un percorso circolare partendo da via Francesco Sforza, sull’angolo alla destra del giardino val la pena di soffermarsi per ammirare un’edicola, molto barocca, che raffigura la Maddalena assistita dagli angeli. Realizzata nel ‘700 in cotto, pietra naturale e tufo, è coloratissima e sembra un presepe permanente. L’angolo opposto è invece segnato da un tempietto neoclassico dell’architetto Cagnola in pietra calcarea marina. Pare che all’interno fosse ospitata una ninfa, ora scomparsa. E poi ancora statue, fontanelle, effigi e lapidi e soprattutto alberi. 183 specie arboree secolari, tra cui un albero dei sigari, faggi, ippocastani, aceri, magnolie, platani, tigli, frassini e chi più ne ha più ne metta.


Completato il giro dei giardini con magari un riposino su una delle numerosissime panchine, l’invito è quello di uscire sul lato opposto, in via della Guastalla, per ammirare la Sinagoga Centrale di Milano. L’edificio in sé è imponente. E c’è una ragione storica. Gli ebrei, rinchiusi nel ghetti delle varie città dal 1555 (il primo fu a Venezia), nella seconda metà dell’800 svilupparono ed ottennero l’emancipazione, cioè l’integrazione nella vita europea. Il che implicava, tra l’altro, l’apertura dei ghetti, il diritto alla proprietà e soprattutto alla cittadinanza. Indubbiamente un’immensa conquista che venne celebrata con l’edificazione, nelle principali città italiane, di sinagoghe molto importanti, proprio per affermare l’identità di un popolo dopo secoli di persecuzioni.

A Milano venne scelto uno dei nuovi quartieri eleganti della città e il progetto fu affidato all’architetto Luca Beltrami, allora molto in auge per opere come la sistemazione di piazza della Scala e i restauri del Castello Sforzesco. La costruzione originale venne però pressoché distrutta durante la seconda guerra mondiale. Si salvò parzialmente soltanto la facciata (con mattoni a vista tuttora visibili) che oggi si staglia verso l’alto con il caratteristico cielo azzurro stellato. L’interno, molto rigoroso come da tradizione ebraica, è a tre navate. Costruito su tre livelli, prevede un vastissimo matroneo perché in sinagoga le donne sono separate dagli uomini.

Sinagoga Centrale - interni - Wilma Viganò

L’essenza della celebrazione ebraica consiste nella lettura della Torah, cioè i 5 libri di Dio, ovvero l'insieme degli insegnamenti e precetti come rivelati da Dio tramite Mosè. La Torah è custodita, sotto forma di un rotolo di pergamena lungo 2 metri, nell’armadio collocato nella parte centrale della sinagoga. I candelabri a sette braccia stanno a rappresentare i sette giorni della creazione e pare che dobbiamo tutti essere grati agli ebrei per aver inventato, oltre 5.000 anni, fa il riposo settimanale. Per officiare la cerimonia occorre la presenza del Rabbino o di almeno 10 uomini, e questa è la ragione per cui il tempio è spesso chiuso ma se lo trovate aperto si può tranquillamente entrare. Da un punto di vista architettonico sono da segnalare le 23 finestre multicolori che offrono un fantasioso collage di simboli e lettere dell’alfabeto ebraico che, ho imparato, è costituito unicamente da consonanti.


Lasciamo ora la Sinagoga ed avviamoci, ma bastano solo pochi passi, alla terza tappa della nostra passeggiata: Palazzo Sormani, oggi sede della Sormani, come i milanesi chiamano familiarmente la Biblioteca Centrale della città.

L'edificio, anche se in dimensioni molto ridotte rispetto alle attuali, se lo passarono di mano alcune tra le più potenti famiglie milanesi, ma la sua vera fortuna iniziò nel ‘600 quando venne acquistato dal cardinale Cesare Monti, proprietario di una ricca e importante collezione d'arte che venne trasferita nella nuova residenza riadattata per l’occasione dall’archistar del tempo, cioè Francesco Maria Richini. A lui sono dovuti il cortile centrale del Palazzo, con relativo porticato e lo scalone d'onore che conduce al piano nobile. L’idea era quella di creare un'imponente scenografia per accogliere i visitatori secondo i canoni del classicismo cinquecentesco romano allora in voga.

Alla sua morte, il cardinale lasciò il palazzo ad un nipote, tale Cesare Monti-Stampa, che lo ampliò ulteriormente arricchendolo con una nuova grande facciata che dava sulla piazza dell’allora Porta Tosa, oggi Largo Augusto. Per realizzarla venne chiamato, ancora una volta, un architetto di grande fama, Francesco Croce, esponente di punta del nuovo gusto barocchetto. La seconda facciata del palazzo, cioè quella che dà verso il parco interno della villa, venne invece realizzata a metà Settecento dall'architetto piemontese Benedetto Alfieri (zio del poeta). Questa seconda facciata, dalle sobrie linee neoclassiche, contrasta nettamente con l'estrosità di quella su strada del Croce: è decorata con stucchi, statue ed un grande orologio anche lui settecentesco. Nel 1783 la proprietà venne venduta agli Andreani-Sormani (e da lì il nome) per poi passare ai Verri di via Montenapoleone, che dal palazzo di famiglia vi trasferirono il famoso ciclo di 23 tele raffiguranti il mito di Orfeo per lungo tempo attribuite a Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto.

E una visita alla Sala del Grechetto (le è rimasto il nome anche se l’autore è dubbio) vale assolutamente la pena. Sembra di calarsi in una jungla. Vi si trovano infatti rappresentati, con straordinario realismo e secondo i più puri dettami del gusto barocco, un numero infinito di animali: da quelli comuni da cortile a quelli più esotici, per arrivare a fantasiose figurazioni mitologiche quali fauni e unicorni.

La tela con Orfeo, che dà il nome a tutto il ciclo, si trova oggi in un angolo della sala e il suo posizionamento decentrato è probabilmente dovuto all'adattamento del ciclo dalla sede precedente di via Montenapoleone.

Oggi Palazzo Sormani, nella sua ultima trasformazione dovuta all’architetto Arrigo Arrighetti che lo ha rappezzato dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, ospita la Biblioteca Civica Centrale, già al Castello Sforzesco. Oltre 650 mila volumi, più l’emeroteca con oltre 20 mila periodici italiani e stranieri, ma anche una straordinaria raccolte di musica rock e 56 mila audiovisivi. Fine della passeggiata nel parco della villa che ospita al centro un importante gruppo scultoreo in terracotta di Agenore Fabbri raffigurante la Caccia al cinghiale. Ce lo ha messo l'Amministrazione Comunale nel 1955.

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